Ora basta!

In questi giorni quante volte abbiamo sentito questa esclamazione? e quante volte si è evocato il potere educativo della scuola? Forse è ora di smettere di prenderci in giro: il problema della violenza sulle donne e della violenza in generale è qualcosa di molto più ampio e complesso che sicuramente non esaurisco io in queste poche righe, ma la rabbia è tanta e qualcosa la voglio dire.

LA SCUOLA

La scuola viene sempre evocata quando ci sono mancanze educative molto più ampie e su cui la scuola può fare pochissimo. Da più parti spesso si sente dire che la scuola non educa più, spesso chi lo dice non sa nulla di scuola e nella scuola non mette piede da innumerevoli anni. Pensate a quando si levarono proclami sul fatto che a scuola si dovesse reintrodurre l’educazione civica… ma dalla scuola l’educazione civica non è mai uscita, salvo poi dover proteggere i “giuggioloni” da brutti voti, sgridate, note, pena l’arrivo di genitori infuriati perché i “giuggioloni” subiscono traumi.
Genitori che giustificano qualunque cosa: i continui ritardi (perché spesso quelli in ritardo sono loro, oppure perché il “giuggiolone” si è addormentato – peccato che avrà dormito forse tre ore dopo essere stato tutta la notte a giocare a Fortnite); la mancanza di rispetto verso il professore (il “giuggiolone” è nervoso, è stressato); il disattendere compiti, verifiche (il “giuggiolone” ha i tornei di calcio, lo sport è salute); il venire vestiti in modo assolutamente discutibile con i pantaloni a mezzo-culo – scusate ma rende l’idea, o magliettine che coprono a malapena il seno per lasciare in bella vista l’ombelico anche con -3° (ma è la moda, ognuno è libero di vestirsi come vuole, i nostri “giuggioli” hanno diritto di esprimersi anche attraverso il dress code). Allora mi chiedo: di quale educazione civica stiamo parlando?
Ogni volta che la scuola osa educare viene aggredita, affossata, vessata.
La scuola continua, malgrado tutto ad educare, ci prova con i mezzi che ha e come può, non per legge, ma per il fatto che è consapevole di dover formare gli uomini e le donne di domani che saranno portatori e portatrici di valori oltre che di competenze. Sono altre le agenzie educative che latitano: la famiglia, la comunità, la politica., i media.
Ora che abbiamo assistito all’ennesimo atto di violenza, si grida a gran voce il bisogno di un’educazione all’affettività a scuola, si delega di nuovo alla scuola perché si è incapaci di guardare alla complessità del problema, si delega e ci si mette a posto la coscienza. Si riempiono le scuole di psicologi (non me ne vogliano gli psicologi), ma guai a parlare di pedagogisti che sono in realtà gli esperti dell’educazione; sono quelli che potrebbero affiancare insegnanti, genitori e ragazzi con progetti educativi in sinergia tra loro, e dopo ben vengano gli psicologi laddove è necessario.
Sono amareggiata e stanca di vedere che si affronta la complessità con soluzioni semplici e troppo poco ragionate, è come svuotare il mare con il cucchiaino da caffè.

ABBIAMO CHIUSO LA FRUSTRAZIONE FUORI DALLA PORTA

Spesso sono in disaccordo con Crepet, ma ha ragione quando dice con forza che facilitiamo la vita dei nostri pargoli a partire dall’infanzia: siamo sempre lì pronti e disponibili agli ordini di piccoli tiranni che non devono rischiare di patire il benché minimo rifiuto. Mi raccontava una mia cara amica di essere stata ripresa in modo piuttosto aggressivo da un signore seduto sotto l’ombrellone accanto al suo, per aver ripreso il figlio e impedito di andare in acqua per un’ora come punizione. Secondo l’esimio “psico-pedagogista” da spiaggia la mamma stava umiliando il suo “giuggiolone” che, povero, doveva rimanere sotto l’ombrellone mentre gli altri si divertivano.
Abbiamo privato i bambini e i ragazzi del gusto dell’attesa, è un gusto che è anche una piccola frustrazione che educa ad avere tempi più dilatati fatti colmi di speranza e impazienza. Tutto viene anticipato: il regalo prima del compleanno (perché il “giuggiolone” se lo merita, in fondo è sempre bravo); i regali di Natale scelti in anticipo (almeno il “giuggiolone” riceve ciò che realmente desidera e di cui ha bisogno, guai ad una sorpresa sgradita, è frustrante!); accontentarlo in tutti a costo di sacrifici enormi, mai che si dica un NO.
Il NO è impegnativo, richiede spiegazione, negoziazione, suscita rabbia e proteste in chi lo riceve, sentimenti che vanno gestiti e sopportati da chi quel NO ha deciso di dirlo. Il NO è frustrante per chi lo dice e per chi lo riceve.
Il NO è la sofferenza di aver dato una delusione al nostro “giuggiolone” che forse grazie a quel NO ha l’opportunità di crescere.
Reggere questa frustrazione è il prezzo che non siamo più disposti a pagare, meglio vivere anestetizzati, facendo finta che tutto sia facile e che tutto vada bene come nei selfie che pubblichiamo, sempre sorridenti, felici, sereni.

SIAMO ADULTI ADOLESCENTI O ADOLESCENTI ADULTI? Io non lo so, ma di certo mancano dei riferimenti seri, forti e coerenti che facciano da sponda agli adolescenti o a questa adolescenza infinita. E ancora manca il coinvolgimento di tutta una fetta di professionisti dell’educazione che sono tenuti fuori da qualsiasi processo decisionale, politico, scolastico e sociale.

SIAMO DEGLI OGGETTI TRA GLI OGGETTI

La persona è ormai oggettivata, merito dell’educazione? della scuola? No! Merito o demerito di una società che dà un prezzo a tutto e di una tecnologia che espone gli individui in una specie di vetrina sempre aperta e disponibile: OnlyFans è solo la punta dell’iceberg, dove corpi più nudi che vestiti si mostrano e guadagnano. Quanti genitori sono consapevoli che i loro “giuggioloni/e” si mostrano o frequentano questa piattaforma? Quanti genitori o adulti di riferimento ascoltano i testi delle canzoni trap, rap, metal? Non esistono persone, esistono corpi che vanno usati e abusati in nome di una presunta libertà. Dove vanno e cosa fanno, ma soprattutto di quali messaggi si nutrono i nostri “giuggioloni”?
-“Ah mio figlio no! Mio figlio è un bravo ragazzo”- Sì tranquilla ha appena fumato una canna e ne ha passate altre cinque o sei ai suoi amici, non lo sa il giuggiolone che quello è spaccio.
-” Noooo! Ma cosa dice? mia figlia è una ragazza seria, non mi chiede neppure troppi soldi quando esce “- Sì signora, stia tranquilla è su Onlyfans nuda come un serpente, ma ha una maschera così non si riconosce!
Quanti adulti sono consapevoli?

MA LA SCUOLA TUTTO QUESTO LO SA?

Certo che lo sa e sa anche molto di più di quanto solo appena accennato finora. La maggior parte dei docenti entra in classe con pochissimi strumenti e cerca di fare da argine, il problema è che poi fuori dalla scuola c’è uno tsunami.

“Siamo solo piatti spaiati” Libro, progetto o altro?

Si dice che la scuola sia il luogo dove “si imparano cose”, e questo è particolarmente vero quando ci si riferisce agli istituti professionali, dove molte ore sono dedicate alle attività pratiche.
In realtà, la scuola è, in ogni caso, un luogo di relazioni dove si cresce umanamente grazie al confronto tra pari e con gli adulti. Personalmente ho sempre creduto che la relazione con i ragazzi debba venire prima della didattica; senza una buona relazione i contenuti non passano.

Ognuno di noi lascia un “segno” in ogni situazione e in ogni persona che incontra: come docente, mi domando sempre quale sia o possa essere il segno che lascio sui miei alunni, penso sia il mio modo per mettermi costantemente in discussione.

scuolaIn questo tempo “sospeso” di didattica a distanza spesso mi sono chiesta come incidere su di loro, come “lasciare il segno”, senza avvalersi di quella gestualità, e di quegli sguardi che solo in presenza possono essere realmente efficaci perché in parte spontanei e in parte voluti, studiati e calibrati sulla situazione e sul momento.

Cosa fare per andare oltre la lezione di grammatica? Oltre le importantissime ricorrenze della giornata della memoria, violenza sulle donne, l’immigrazione, la mafia? E come andare oltre il solito tormentone: “ragazzi, dovete leggere!”, a cui segue sempre “ma prof, leggere cosa? e poi è noioso, meglio una serie tv”. La mia risposta di solito è: “leggete quello che volete, anche i fumetti, vi mando una lista di libri così potete scegliere quello che vi attira di più”. E ogni volta so bene che quell’invito verrà colto da pochi, pochissimi, perché sono convinta che la lettura richieda una certa “educazione” tutt’altro che facile e lo dice una che ha iniziato a leggere con passione a 30 anni perché, a scuola, è sempre stata un’attività imposta e di conseguenza rifiutata con forza.

In quest’anno di tempo “sospeso” dove tutto è più complicato, si presenta un’occasione che non posso lasciarmi sfuggire. Uno scrittore (ma soprattutto un educatore) che conosco ormai da qualche anno pubblica un cortometraggio del suo libro “Siamo solo piatti spaiati”, lo guardo, mi commuovo, e mando un messaggio via whatsapp “Alessandro, mannaggia a te! Sto piangendo come una fontana davanti ai titoli di coda. E’ bellissimo, credo che lo farò vedere a scuola, ci sono un sacco di spunti, è un gioiello. Grazie”. La sua risposta è immediata: “Stiamo preparando un progetto per la visione nelle scuole con incontro (da remoto, ovviamente) con l’autore/educatore, poi segue la lettura del libro con il docente e infine i ragazzi devono creare il seguito della storia attraverso la scrittura di un capitolo o un video o qualsiasi cosa venga loro in mente. Se ti interessa…”.

E così tutto è cominciato. Il progetto “Siamo solo piatti spaiati” dedicato alle prime classi dell’Enaip Lombardia a Voghera, una scuola che sta formando i futuri chef, pasticceri, operatori di sala, ragazzi che sono animati dal “voler fare”, “voler creare”, ma che si confrontano tutti i giorni con le materie di studio in un anno di relazioni mediate da dispositivi elettronici.enaipfoto

Ogni classe ha visto il cortometraggio e lo ha commentato con l’autore/educatore, i temi emersi sono importanti e investono la loro quotidianità di adolescenti proiettati verso il futuro; abbiamo parlato del pregiudizio, della responsabilità, della scelta, del cambiamento, del disagio, della rabbia, dell’orgoglio, dello stupore, della paura di crescere e di sbagliare; i ragazzi, dopo un comprensibile momento di imbarazzo e difficoltà di introspezione, sono dei fiumi in piena, parlano, si confrontano e quando capiscono che c’è fiducia e non c’è giudizio si esprimono in totale libertà. E’ bello ascoltarli, è bello rivivere attraverso di loro l’adolescenza e comprendere meglio quel tumulto di sensazioni, emozioni, timori che pervadono quell’età.

In questi giorni abbiamo iniziato la lettura del libro a classi unite. Non è facile a distanza! E allora leggo, mi fermo, commento, chiedo…e la magia continua:

dad“Prof, sono sorpreso dal linguaggio in un libro che si legge a scuola!”
“Sorpreso, in che senso? Ti pare strano sentire qualche parolaccia?”
“Sì, no, nel senso che è proprio come parliamo noi!”
“Quindi il tuo commento è positivo?”
“Sì, sì è come se fosse stato scritto da uno di noi!”

“Prof mi piace sentire leggere le storie, io ho problemi di lingua e faccio fatica a leggere da solo, così invece è bello e il libro mi piace molto, fa pensare”

“Prof anch’io a volte faccio come Davide (il protagonista), quando incontro nuove persone le studio, le catalogo”

“Prof, non so come dire, ma sento un po’ di paura…non so…magari di sbagliare senza rendermi conto…”

siamo solo piatti spaiatiQuesti sono solo alcuni dei pensieri che fino ad oggi sono emersi e siamo solo a metà del libro. Sapevo che sarebbe stato un viaggio bellissimo, i ragazzi hanno tanto da dire e poco spazio per esprimersi. Io mi sento molto fortunata perché ho il privilegio di condurli lungo tutto questo viaggio e sono certa che alla fine riusciranno ad esprimere la loro creatività in un qualcosa di unico e prezioso.

Il mio obiettivo? non è solo uno! Eccone alcuni: educare alla lettura, educare alla riflessione, educare all’introspezione, educare alla ricchezza della diversità e…lasciare il segno!

Ah, dimenticavo, lo scrittore (ma è anche un grande educatore) è Alessandro Curti, l’editore (che poi è un’editrice ) è Cinzia Tocci e C1V edizioni e il romanzo è “Siamo solo piatti spaiati”.

 

Quando si perde un Maestro

FlavioOggi è un giorno triste, ho perso il mio Maestro.

Caro Flavio è difficile provare a descriverti, non bastano le parole, gli aggettivi, tutto risulterebbe povero in confronto alla tua grandezza.
Ti ho conosciuto frequentando il Corso Conduttori di Gruppo di Adolescere, ma ho avuto la fortuna di affiancarti in un po’ di occasioni oltre che ad averti come relatore ad una conferenza su Internet e i giovani, in tempi lontani, agli albori dei Social Network. Fu in quel contesto che ricevetti i tuoi complimenti che serbo ancora nel cuore perchè erano sempre rari e preziosi.
Eri un cultore delle parole, non le sprecavi, le sceglievi con cura anche quando si scherzava. Sono state proprio le tue parole ad essere una guida fondamentale, le tue massime e le tue riflessioni.

Avevi un profondo rispetto per la persona umana, confidavi nelle sue capacità, nelle sue risorse. Mi hai insegnato che non bisogna dare consigli e quando te li chiedevo la tua risposta era sempre “sono solo cazzi tuoi”. Non era disinteresse, era lo stimolo, il punto di partenza da dove partiva il pensiero, la ricerca della soluzione che però doveva arrivare da me e non da te; quanta fiducia, Flavio! e quando mi incaponivo a voler cambiare ciò che mi girava intorno, tu dicevi “per fare un fosso…ci vogliono due sponde”, è vero Flavio, ognuno di noi deve fare la sua parte senza forzare nulla perchè le cose vanno come devono andare, bisogna impegnarsi, porsi degli obiettivi, dare il massimo, ma anche saper attendere, accettare, rispettare e comprendere. Questo è l’amore per la vita che sapevi trasmettere.

Eri generoso, disponibile e attento ascoltatore, regalavi tempo, esperienza, sapere,
eri curioso, intelligente, sempre aperto e pronto ad imparare, innamorato della scienza, avevi una mente critica e brillante, con te si poteva parlare di tutto senza mai sentirsi inferiori rispetto alla tua immensa conoscenza. Trattavi sempre il tuo interlocutore ad un livello paritetico, ma tu eri un gigante.

Porto con me il tuo grande amore per i giovani e spesso mi ritrovo a pronunciare le tue frasi, una su tutte “è la forma che informa di sè il contenuto”. La scrivo sulla lavagna, la lascio lì e aspetto i commenti, spesso partono discussioni accese e ti immagino, lì accanto a me quasi a suggerirmi le battute per calmare gli animi e arrivare alla riflessione critica. Quanti spunti !

Flavio te ne sei andato in momento difficile, pochi ti saranno accanto nell’ultimo saluto, ma tanti in questo momento staranno pensando a te e forse, come me, saranno consapevoli, nella profonda tristezza, di non averti perso perchè hai lasciato segni indelebili dentro di noi.

Mi avevi chiesto di scrivere un libro, avevo iniziato e ti ho scritto anche la dedica, ma non sono andata oltre. Oggi non potevo esimermi da scrivere  un pensiero di riconoscenza  a colui che è stato, e sempre sarà, il mio Maestro.

Ciao Flavio e grazie.

“ma che trip con la filosofia!”

Io non insegno filosofia, ma non perdo mai l’occasione di usarla ogni volta che mi si presenta l’occasione, soprattutto con i ragazzi in classe. Tempo fa, proprio in seguito a qualche disquisizione in merito a non mi ricordo quale argomento, un mio allievo mi chiede di indicargli qualche libro per avvicinarsi alla filosofia. Gli consiglio un libro che avevo comprato da pochi giorni, “La meravigliosa vita dei filosofi” di Masato Tanaka ed. Vallardi, un testo semplice, accattivante perché, attraverso poche parole e simpatiche vignette, riassume in modo efficace il pensiero filosofico dall’antichità ad oggi.

Generalmente non mi creo molte aspettative, non mi aspettavo che lo comprasse e, soprattutto, che lo leggesse; invece la settimana scorsa mi si avvicina e mi dice, in modo un po’ confuso:

” prof., lei sa che io vedo questa tazzina e so che esiste proprio perché la vedo, ma non è detto che lei la veda così come la vedo io…o forse non è proprio così, in realtà non ricordo bene perché l’ho letto qualche giorno fa… so solo che quando l’ho letto la mia testa ha iniziato a viaggiare… si fanno dei trip incredibili con la filosofia!”

“sono i viaggi di una testa che pensa!” gli ho risposto.

Lavoro in una scuola professionale dove la filosofia non è tra le materie insegnate, ma questo non significa nulla. Parlare con i ragazzi, ma soprattutto fare loro delle domande, instillare dubbi, credo siano parte di quella relazione informale, che va al di là di quanto viene detto da dietro la cattedra, e che permette di crescere insieme, di creare legami che si basano su un sano confronto.

Felicità, moralità, fine vita, l’esistenza di Dio e del male, interrogarsi sulla verità, sulla bellezza, sul senso, su oggettività e soggettività  sono argomenti complessi, ma che possono essere occasione di scambio di pensieri e trampolini di lancio per una riflessione e per un’educazione al pensiero critico di cui abbiamo bisogno.

E si può parlare di filosofia, o meglio, si può filosofare in qualsiasi scuola di ogni ordine e grado.

 

 

 

Generatori d’ansia – parte cinque – “Mamma oggi mi vesto da sola”

Qualche giorno fa, una mia collega si avvicina agitando il cellulare: “Guarda, la mia bimba oggi ha voluto vestirsi da sola per andare all’asilo”. Io guardo la foto e vedo una bimba bellissima, vestita bene, con qualche mollettina un po’ storta, ma con un’espressione sorridente e soddisfatta.

E chiedo alla mamma: “e tu cosa hai fatto?”

“L’ho lasciata fare, ho solo controllato a lavoro finito, che si fosse messa le cose dritte, ha voluto anche pettinarsi da sé e infatti forse un po’ si vede”

“Io la trovo bellissima”.

E trovo bellissimo il gesto di questa mamma che ha lasciato la bimba libera di sperimentarsi, non è intervenuta e soprattutto non si è preoccupata del giudizio altrui una volta oltrepassata la porta di casa.

Sì perché è il giudizio degli altri che spesso ci condiziona. Una bimba o un bimbo con i vestiti in po’ arruffati danno subito l’impressione di avere mamme distratte o disordinate che non li curano; è difficile pensare che invece dietro può esserci una mamma che semplicemente ha “lasciato fare” permettendo al figlio o alla figlia di continuare il lungo cammino verso la propria indipendenza.

Questa mamma, che non si è lasciata trascinare dall’ansia di perfezione, ha nutrito l’autostima della sua bimba e l’ha resa un po’ più grande e un po’ più capace di fare da sé… e la bimba è perfetta anche con le mollette un po’ storte perché la perfezione non è di questo mondo.

…dopo tanto tempo

…ritorno a scrivere. Sono passati 3 anni dall’ultimo articolo, ma esiste un “tempo per la scrittura” e un “tempo per il silenzio”, un silenzio carico di emozioni, esperienze, vita vissuta.

Non rientro per raccontare i miei tre anni di silenzio, ma per continuare ad aggiungere riflessioni grazie alle sollecitazioni che arrivano dalla vita di tutti i giorni perché credo che siano le più autentiche e le più fresche.

Non so quanto sarà intenso il mio contributo in numero di articoli, ma la cosa importante è avere il desiderio di ricominciare a scrivere.

Ringrazio fin da ora chi avrà voglia di leggere e magari di commentare.

 

AAA….Cercasi prof !!! Solo appassionati!

E’ martedì 7 giugno ore 01.00 quando usciamo dal liceo scientifico Maserati di Voghera dove alcuni ragazzi hanno aderito alla proposta del professor Guarnieri, docente di informatica, di presentare a noi genitori il lavoro svolto. Si tratta di illustrare il loro programma sviluppato in C++.

Usciamo con le lacrime agli occhi, genitori e ragazzi, lacrime di emozione e dispiacere perché questo professore non ha la cattedra, fa parte di quella schiera di precari che girano come delle trottole senza poter continuare il proprio lavoro con i ragazzi, senza poter fornire quella continuità e stabilità di cui proprio i giovani hanno bisogno.

Il professore Guarnieri è il concentrato di ciò che un docente dovrebbe essere: ha stabilito fin da subito la giusta distanza/vicinanza, ha trasmesso la passione per la sua materia, ma soprattutto il profondo rispetto per i ragazzi e per le loro debolezze che in molti casi  ha trasformato in punti di forza. Non ha lasciato nessuno indietro, cosciente del fatto che il suo successo è dato dal successo dei ragazzi, sempre al primo posto. Un professore che riceve i genitori insieme all’alunno perché gli impegni si prendono insieme. Un professore che al termine dell’anno scolastico coinvolge i suoi ragazzi in una mezza giornata di lavoro insieme per insegnare agli alunni della summer school le basi della programmazione. Un professore che ha scritto questo ai suoi ragazzi:

“& poi ci sono quelle favole che… narrano di studenti che si divertono perché studiano. Favole che narrano di studenti che realizzano. Narrano di studenti che si agitano prima di un’esposizione. Favole che narrano di studenti che si incitano prima di un’esposizione. Narrano di studenti che si divertono durante un’esposizione: si “gasano” con cambi di toni di voce degni del miglior interprete! L’esposizione per eccellenza! Quella che riguarda il risultato del proprio lavoro. Favole che narrano di studenti che, allo scoccare della mezzanotte, al contrario della ben più nota Cenerentola, anziché scappare dalla scuola, chiedono di ripetere l’esposizione del proprio elaborato nelle condizioni e nel modo che merita! Favole che narrano di genitori che siedono tra i banchi e sui banchi ad un’età e ad un’ora più insolita che mai! … solo ed esclusivamente per vedere i propri figli esporre al pubblico quanto di buono realizzato con i propri sacrifici. & POI CI SONO I RAGAZZI DELLA II SC, III SC & III SD che tutto ciò, tutto quello che può sembrare surreale, l’hanno reso reale in un contesto Reale! Grazie per aver partecipato alla serata alternativa! La vostra serata! Non quella dei docenti. Perché la scuola è degli Studenti! Qualcuno ha sottolineato “Prof, avrei voluto farle una foto. Quando le coppie finivano l’esposizione, non sa quanto sorrideva!” Il mio sorriso era strettamente correlato al vostro. … più vi vedevo soddisfatti & appagati, più vedevo i vostri genitori sorridere e più il mio sorriso si “amplificava”. Vi ringrazio per avermi concesso questo “saluto speciale”. Ringrazio le vostre famiglie per aver condito la serata della loro presenza e del loro affetto. Pienamente orgoglioso di VOI! 🙂 Che dire… ragazzi speciali per una serata speciale!”

La scuola ha bisogno di professori così, i ragazzi lo meritano perché loro hanno bisogno di esempi di umanità, integrità morale e passione.

Grazie professor Guarnieri.

Quanto sono profonde le proprie radici?

pzzalibert…..e le radici sono o hanno un valore? Sono nata ad Alessandria, ma vivo a Voghera ormai da più di 20 anni, dove ho un lavoro, degli amici, una casa e molte altre cose che rendono questa “adozione” piuttosto piacevole.

Ma ogni volta che sento parlare di Alessandria, qualcosa di molto profondo risuona dentro di me e queste domande iniziano, puntualmente, a frullarmi nella testa. Ora, a pochi giorni dalla partita Alessandria – Milan (che mi ha vista diventare una tifosa sfegatata per i Grigi, naturalmente ) ho deciso di provare a dare forma ai miei pensieri.

radiciNascere significa mettere le radici e fare in modo che sprofondino in un terreno che andrà a formare cultura, storia, tradizioni, esperienza, e ricordi. Le radici, oltre ad andare in profondità, si intrecciano con tutto ciò che ci circonda e che entra a far parte della storia di ognuno di noi, le situazioni, gli incontri, gli amici, i compagni di scuola, ma anche i cambiamenti della città, del luogo in cui si vive, del quartiere, della stessa casa.

Finchè tutto questo si vive, si dà per scontato: sono cose che accadono, il legame con ciò che ci circonda è qualcosa che non si percepisce perchè se ne è parte.

Ho lasciato Alessandria a 21 anni, l’ho fatto con convinzione, giudicavo la città povera di sbocchi, volevo più di quanto una città di provincia potesse offrire, tutti i miei più cari amici, fidanzato compreso, lavoravano a Milano ed erano soddisfatti, io in provincia soffocavo. E quindi via! La storia poi mi ha portato a vivere in una cittadina molto piccola e non me ne pento. Ma le radici? Come ci si sente lontani dal proprio “nido”?

csoromaQuando torno nella mia città provo un sentimento di gioia mista a profonda tristezza. Sono sempre felice di tornare, ma sono triste per non essere stata parte del cambiamento del mio “nido”; vie, palazzi, la scuola hanno diverse fisionomie, non sono più ciò che erano un tempo, ma io non ho vissuto il percorso di cambiamento, io ero altrove. Eppure il legame esiste ed è profondo, un legame che non ho con Voghera dove la mia storia non è iniziata dal primo vagito, non ha posto le radici in modo così profondo.

Non credo che ciò si possa definire “sradicamento” piuttosto mi sento di dire che le mie radici non sono più intrecciate, sono profonde, ma non intrecciate.

Ecco perchè ogni volta che mi chiedono: “da dove vieni?” , io rispondo: “almilanda Voghera, ma sono di Alessandria”, o quando vedo un cappello Borsalino o un profumo Paglieri, oppure se i Grigi arrivano a giocare la semifinale di Coppa Italia contro il Milan, provo un po’ di orgoglio e mi sento comunque profondamente alessandrina.

 

DSA e dintorni…quanta fretta!

dsa2“Mi scusi, mi rivolgo a lei perchè mio figlio è certificato, vorrei che lei lo seguisse. Ma usa il computer? e la sintesi vocale? Può insegnargli un metodo? No perchè sta andando male a scuola e sa, siamo già a gennaio non vorrei trovarmi a giugno con dei debiti”.

“Senta al nostro primo incontro porto anche mio figlio così sente tutto anche lui”

Come Tutor DSA-ADHD spesso mi sento rivolgere queste parole e sono sempre più convinta che stiamo vivendo in un periodo di preoccupante schizzofrenia.

Capisco l’ansia del genitore che si sente forse inadeguato di fronte ad un disturbo specifico di apprendimento, ma credo che ci sia la necessità di fare chiarezza e soprattutto NON BISOGNA AVERE FRETTA – cosa assai difficile da accettare, ma procediamo per punti:

  1. Uso degli strumenti compensativi.
    Nei documenti che certificano uno o più DSA vengono elencati gli strumenti compensativi da utilizzare per aiutare lo studente nelle diverse fasi di apprendimento. Questo però non vuol dire che si devono necessariamente utilizzare in modo indiscriminato. Mappe, computer, riassunti con parole chiave evidenziate, sintesi vocale sono sicuramente utili, ma è solo lavorando insieme allo studente che si comprende quale o quali strumenti siamo più utili, e per capirlo ci vuole TEMPO. Un tempo che si riempie di significati che vanno oltre la modalità di apprendimento; un tempo in cui si instaura fiducia, dove si impara ad essere se stessi perchè non c’è il peso di un giudizio, un tempo dove si lavora tantissimo sull’autostima, un tempo in cui si “impara a funzionare”, dove si trova la strada e dove magari la mappa, lo schema e il riassunto non si scarica da Internet, ma si prepara insieme diventando progressivamente autonomi.
  2. L’uso del computer a casa e a scuola.
    Può sembrare strano da parte mia, ma io non sono immediatamente favorevole all’uso del computer sia a scuola che a casa (tengo a precisare che sono favorevole al computer qualora sia una scelta didattica a favore di tutta la classe).
    Usare un computer o un tablet presuppone l’attivazione di più facoltà: ascolto, sintesi, velocità di scrittura e colpo d’occhio (perchè siamo automaticamente portati a controllare l’esattezza di ciò che scriviamo). Tutto piuttosto complesso per chiunque, i ragazzi in particolare – tutti, non solo quelli con DSA – sono velocissimi a digitare su un cellulare, ma li avete mai visti di fronte ad una tastiera?
    Quindi, se proprio vogliamo che utilizzino in computer dobbiamo renderli quantomeno veloci, abituarli ad utilizzare tutte le dita. Esistono dei software, ma anche qui ci vuole TEMPO.
  3. DSA e debito scolastico.
    Perchè si continua a considerare il debito (la materia da recuperare a settembre) una punizione? E perchè uno studente con DSA non dovrebbe essere rimandato a settembre?
    Non è una questione di umiliazione, sempre che le cose si spieghino in modo adeguato.
    Se una persona è discalculica e viene rimandata in matematica è per darle la possibilità di focalizzare determinati argomenti e trovare il modo per affrontarli meglio per poi proseguire negli anni successivi, non è una persecuzione, non è una discriminazione perchè “affetta da un disturbo”; il discalculico funziona diversamente e forse alcuni casi ha bisogno di TEMPO.
  4. Il METODO. Il tutor DSA o anche non DSA non fornisce un metodo, ma strategie. Le strategie si trovano insieme e se si vuole puntare sull’autostima è necessario osservare anche quelle che vengono messe in atto dallo studente, altrimenti è come dirgli: “guarda, tu non sei capace, ti dico io come fare” e se poi la strategia non funziona sottilmente gli arriva il messaggio implicito: “Non funzioni proprio per niente, questa strategia ha fallito, te ne suggerisco un’altra”.
    Trovare insieme la strada non è qualcosa di immediato, bisogna fidarsi, provare, cadere e rialzarsi, ma sempre insieme.

In merito all’ultima richiesta che spesso mi viene posta: “Senta al nostro primo incontro porto anche mio figlio così sente tutto anche lui?”, io mi chiedo sempre “Ma perchè? A cosa serve?”
Il primo colloquio deve avvenire tra adulti, si parla, ci si conosce, si hanno delle impressioni, si fanno domande, ci si convince uno dell’altro e se tutto funziona si inizia ad imbastire un minimo rapporto di fiducia, è tra adulti che ci si deve alleare, siamo noi gli argini. I ragazzi sono ragazzi e tali devono rimanere, non tutto deve essere dichiarato, noi non siamo gli amici dei nostri figli, mettiamocelo bene in  testa.

Da tutto ciò si evince che la mia esperienza come Tutor finora si è fondata su ragazzi delle medie e delle superiori, ciò non significa che io non abbia riflessioni da fare in merito ai bambini delle scuole elementari, ma è materiale per un prossimo articolo.

Non a caso in questo articolo ho citato spesso la parola TEMPO, vorrei concludere con un pensiero di Rousseau che nell’Emilio dice più o meno così:

manobimbo“per fare l’uomo non vi dirò come guadagnare tempo, ma come perderlo”

La ricchezza di questa “perdita di tempo” si coglierà solo nel futuro adulto che verrà.

Come era un tempo il febbraio; a scuola.

Quando si parla di apprendimento e di tempo, penso a quanto sia importante la pausa: c’è un tempo per acquisire informazioni e c’è un tempo utile a farsì che le informazioni sedimentino per rendere l’apprendimento significativo. La mancanza di questa “pausa” oltre a non far percepire la scuola come luogo di scambio e arricchimento, rischia di mettere in crisi anche l’apprendimento significativo con la conseguenza di avere di fronte non i futuri adulti, ma dei semplici sacchi da riempire.

trafantasiapensieroazione

Due giorni fa, mentre rientravo a casa in macchina con mio figlio, frequentante una terza di una scuola secondaria di primo grado, ho esordito dicendo che finalmente eravamo alla fine del primo quadrimestre e ci si poteva prendere un attimo di pausa.

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