La torre d’avorio

In questi giorni spesso mi capita di ripensare ad un frase che diceva un mio cliente quando il mio gruppo non riusciva a risolvere i suoi problemi tecnici nei tempi da lui richiesti: “voi vivete in una torre d’avorio, provate a scendere e a camminare nel mondo”. Aveva ragione!
Lui aveva grande competenza tecnica e utilizzava i nostri prodotti in un ambiente reale, noi avevamo una conoscenza approfondita, ma teorica, a volte non sufficiente per affrontare i casi reali.

Ma cos’è che suscita in me il ricordo di questa frase? Beh, non poche cose, a partire dalla situazione politica per arrivare a quella socio-economica, ma in modo particolare in questo momento sto pensando all’integrazione.

Non passa giorno in cui non si senta dire che i figli degli immigrati devono essere riconosciuti come italiani, se nati nel nostro Paese; ovviamente trovo che sia giusto, e non è questo il punto della mia riflessione. Penso a quante parole, progetti, iniziative sono state spese per le “politiche di integrazione” e mi chiedo dove siano i risultati quando ancora si sottolineano i crimini commessi da stranieri ma non si descrivono mai le buone azioni. Poco importa se funziona così anche per noi italiani, sembra quasi che lo stesso crimine commesso da uno straniero abbia un peso maggiore. Ma questa è solo una piccola parte di ciò che accade per sottolineare la diversità come minaccia, gli esempi si sprecano.

Vorrei invece sottolineare come in una realtà dimenticata e anch’essa descritta sempre e solo al negativo, l’integrazione sia ormai avvenuta da tempo, con una semplicità e una naturalezza che dovremmo prendere ad esempio; mi riferisco ai ragazzi e alle ragazze, soprattutto adolescenti, che malgrado vivano l’età del cambiamento e del “tutto e il contrario di tutto”, riescono a mostrare a noi adulti come sia semplice relazionarsi con chi ha origini diverse.

Io ho la fortuna di vivere l’integrazione attraverso mio figlio Mattia e grazie ai ragazzi che frequentano il doposcuola di cui sono docente.
Mattia ha come compagni stranieri un marocchino, una del Bangladesh, una egiziana, un rumeno, un cinese e una latino-americana. Al mio doposcuola arrivano anche dei siriani, degli algerini oltre ai rumeni e ai cinesi.

Io li osservo e sono sempre meravigliata da come si relazionano, sono semplici malgrado le difficoltà e le differenze culturali che a volte emergono: c’è chi non partecipa alla festa di Natale perchè è convinto che nel panettone ci sia il liquore e per i musulmani è vietato, c’è chi sostiene di essere nel 1300 e chi ride di questo perchè non sa che i musulmani contano gli anni in maniera differente – una volta spiegato, però smettono di ridere – c’è chi si dichiara ateo perchè loro non hanno un Dio di riferimento, c’è chi ha difficoltà a parlare la lingua, c’è chi disegna la mezza luna araba sulle chiese del libro di arte ma è pronto ad ascoltare le tue spiegazioni e fa domande su domande per conoscere e capire meglio una cultura differente.

Malgrado tutto loro si accettano così come sono, si chiariscono facilmente, tutti coinvolgono tutti senza differenze e si sforzano di capire laddove risulta più difficile. Sono ostinati, la loro voglia adolescenziale di essere gruppo li rende vincenti.

E’ vero che ragazzi così hanno alle spalle adulti aperti all’integrazione (genitori, insegnanti), ma credo che ci sia anche una buona parte di curiosità, semplicità, flessibilità che noi adulti, ormai incastrati nei nostri schemi, abbiamo perso.

Per me osservare i ragazzi che si integrano con naturalezza è linfa vitale, è quel soffio di speranza che mi fa credere che un futuro migliore sarà possibile grazie a questa ricchezza che ogni giorno nasce tra i banchi di scuola.

Molti di questi ragazzi, che noi ostiniamo a considerare stranieri, sono nati in Italia ed alcuni hanno anche nomi italiani, segno della volontà degli adulti di integrarsi, e quando chiedo a mio figlio “ma da dove arriva Mohammed?” spesso la sua risposta è: “mamma è italiano, è nato a Torino, e ora vive qui a Voghera” e allora la domanda cambia in “quali sono le sue origini?”

Nel mondo dei ragazzi il problema della nazionalità è già risolto. Il mondo adulto, le istituzioni sono chiuse in una torre d’avorio, vedono il problema da un punto di vista lontano dalla realtà. Chi ha a che fare con “lo straniero” nella vita reale, il problema lo ha già risolto, proprio come il mio cliente di tanti anni fa che spesso risolveva il problema da sè nell’attesa che noi, insieme ai tecnici di Seattle, trovassimo la soluzione.

Minaccia alla cultura, all’ordine pubblico, alle regole, alle tradizioni, all’economia, al lavoro…..mah! credo che nella realtà di tutti i giorni gli uomini di ogni razza e nazionalità possano dare il meglio per convivere dignitosamente insieme nel rispetto di ognuno.

Personalmente non credo che siano gli stranieri a minacciare la nostra cultura che può solo arricchirsi, penso piuttosto che politiche di governi scellerati che tagliano scuola, università, ricerca e che lasciano crollare il nostro patrimonio artistico siano i veri pericoli per la nostra cultura.

 

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